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Il Cubano Posticcio

11 febbraio 2022

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«Quando si è passati attraverso innumerevoli delusioni, che importanza ha una in più? Dopo aver conosciuto il tradimento nella vita non si dovrebbe piangere, bisogna rendersi conto che è tutta una menzogna, che non c’è niente di vero. Si deve vivere per i momenti felici, sapersela godere quando è il momento, perché alla fine di tutto la vita è solo un sogno».

Sono parole di Arsenio Rodriguez, compositore cubano in auge tra gli anni Quaranta e Cinquanta, da molti considerato il padre del son, e uno dei migliori suonatori di tres, la tipica chitarra a sei corde divise in tre paia (oltre a considerarsi l'inventore del Mambo)

Sulle orme della sua musica (e delle sue parole) si è lanciato il chitarrista Marc Ribot (John Zorn, Tow Waits, Elvis Costello, Vinicio Capossela) con i suoi ‘cubani posticci’, per un progetto che è un tributo alla musica e alla storia di questo grande compositore piuttosto che un tentativo di fare del ‘purismo’ caraibico (col rischio dell'effetto “Karaoke” dietro l'angolo). Al contrario Ribot adopera la sua straordinaria musicalità per dare corpo alla musica piena di accenti di Rodriguez, ora nei brani veloci ed euforici, ora in quelli lenti e appassionati, e non disdegna persino di cantare in un paio di occasioni ("No me llores mas" e "Fiesta en el solar"). Anzi, fa di più, e in "Como se goza en el barrio" e "Fiesta en el solar" si propone con una chitarra a 12 corde, cercando a modo suo di ricreare le sonorità del tres. Accanto a lui, splendido gruppo per una splendida musica, i ‘cubani posticci’ Brand Jones (al basso, già con Jazz Passengers, Prime Time), E.J. Rodriguez (percussioni), gli organisti Anthony Coleman e John Medesky (quest’ultimo del trio Medeski, Martin & Wood), e il batterista Robert J. Rodriguez (Miami Sound Machine). Il risultato è un album straordinario, caldo e soffuso come la migliore musica cubana incrociata al jazz sa essere, ma anche straripante di ritmo e di colori nella migliore tradizione caraibica. Lente ballate si alternano a brani che sembrano arrivare dalle vecchie sale da ballo degli anni ’50, resi ancora più energetici dall’utilizzo di una mini sezione fiati (come in "Choserito plena". Uno dei dischi più belli dell’anno, concentrato di quell’energia e sensibilità musicale che da sempre sono doti indiscutibili di Ribot.

2 Lavori prodotti (uno nel 1998 -quello a cui si accenna qui, e uno nel 2000).

Dischi che hanno chiaramente un sapore molto “latino”, ma la genialità e l’eleganza di Ribot e soci (che sono tutti collaudatissimi jazzisti americani tranne i percussionisti) consentono al tutto di non scadere mai nella cartolina, nel già troppo sentito.



At every turn, Ribot dazzles with both his urbanity and his radical streak, creating a wonder of otherworldly Cuban soul." - Guitar Magazine

“Ribot’s celebration of Rodriguez’s legacy is distinguished by informed guts and understated grace. In its soulful warmth and tart guitar invention, this record is everything – bright, daring, alive...”
-Rolling Stone 

“At every turn, Ribot dazzles with both his urbanity and his radical streak, creating a wonder of otherworldly Cuban soul.”
-Guitar Magazine 

“What distinguishes this disk from other Cubanismo collections is Ribot’s mix of the soft and sultry with the hard-edged and rocking. The result is triumphant fiesta that bears repeated spins.”
-San Francisco Examiner



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