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Sul whisky del Giappone

3 novembre 2021

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Il whisky giapponese pur non vantando la storia secolare dello Scotch è ormai considerato come uno dei migliori al mondo: è elegante, di grande finezza.
Stesso metodo produttivo di quello Scozzese (l’inventore del whisky nipponico, il fondatore delle distillerie Nikka, Masataka Taketsuru, andò proprio in Scozia per studiare chimica e imparare l’arte di distillare malto) presenta comunque qualche differenza:
La prima è l'esiguo numero di distillerie, che sono solo 8 rispetto alle 128 in Scozia.
Poi la cura maniacale dei giapponesi, la volontà di produrre distillati perfetti, e quindi un diverso approccio anche estetico che si riflette nella produzione del whisky -che può essere tranquillamente single malt oppure blended (le distillerie in Giappone non sono fissate con i single malt come gli scozzesi). Molti single malt delle Highlands o dello Speyside puntano tutto sulla purezza del malto, Islay cerca l'equilibrio perfetto tra questo e la torba, mentre i giapponesi cesellano e lavorano soprattutto coi legni. Probabile che questa ricerca estetica sia anche un riflesso dell’animismo e amore per la natura di questo popolo. Non a caso 3 tra le più importanti distillerie, Yamazaki, Hakushu e Mars Shinshu sono immerse nella natura. Yamazaki è completamente sommersa dal verde, mentre la distilleria Hakushu, annidata tra le Alpi Giapponesi, si trova a un altitudine di 700 metri sul livello del mare. La distilleria Mars Shinshu è stata costruita ancora più in alto, a 800 metri. Niente di casuale ovviamente: il fatto che siano in montagna rende l’aria più leggere e fresca abbassando la temperatura di ebollizione. Ne consegue che i profumi e i sapori sono molto più fini e sottili, floreali e soprattutto erbacei.
Argomento torba: le distillerie di Islay, Jura, Talisker e Highland Park e altre nello Speyside vivono con la torba, anche per ragioni ambientali, visto che in molte isole non ci sono molti alberi da usare per alimentare i forni. I whisky giapponesi generalmente non sono torbati. Ne esistono di affumicati, ma nessuna distilleria giapponese produce unicamente torbati. 
Poi, fondamentale, è l’eredità del sakè per i produttori giapponesi, che sono pionieri nello studio e produzione di lieviti. Grazie all’esperienza ultracentenaria che hanno in materia, le distillerie giapponesi hanno sviluppato una conoscenza unica e approfondita. Sperimentano con svariati tipi di lieviti, li coltivano, li custodiscono gelosamente e in questo modo hanno creato un arsenale gustativo-fermentativo unico e peculiare per ogni distilleria. Le distillerie scozzesi non hanno questa accortezza, anche se va detto che sul malto il primato è ancora loro (i giapponesi comprano grandi percentuali di malto, soprattutto quello già torbato). Ritornando ai lieviti, questa intraprendenza permette ai giapponesi di osare di più durante la fermentazione. 
A questa padronanza fermentativa aggiungiamo anche un uso dell’affinamento in legno che rasenta la perfezione zen. La cura e la venerazione che hanno per le botti sconfina nella frenesia da collezionismo. La Yamazaki ha in giacenza solitamente non meno di 15000 botti, ognuna particolare, ex sherry, ex bourbon, usate per vari vini e poi ci sono le leggendarie botti fatte con la quercia Mizunara -una particolare quercia che impiega oltre 200 per crescere fino all’età del taglio, ma che soprattutto rilascia profumi e sapori balsamici di incenso, eucalipto, anice.
Questa attenzione certosina influisce inevitabilmente sul prezzo finale: il prezzo medio dei loro whisky è più alto rispetto di distillati scozzesi. Se con 50-60 euro si può comprare una buona bottiglia di Scotch whisky, per un whisky giapponese entry level bisogna sborsarne almeno 65-70. 
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