FILIPPO DE PISIS
L’avventura tra i fumatori di un giovane poeta
A 28 anni il poeta-scrittore in vacanza nel Cadore ha la sua “rivelazione pittorica”. Tra le sue prime prove anche un libro sui fumatori
E’ quasi una primizia quella che offriamo ai lettori di Smoking: disegni di Filippo De Pisis raccolti da lui stesso in un volumetto da lui stesso intitolato “Fumatori”. Non ci risulta che siano mai stati riprodotti, il volumetto è stato esposto un paio di volte in mostre a Ferrara e Milano, ben protetto in una teca.
I disegni sono del 1924 ed è significativo che a quello stesso anno risalga la “rivelazione” del pittore De Pisis col clamoroso successo di una sua sala all’esposizione di Venezia. Allora aveva 28 anni e aveva pubblicato libri di prosa e di poesia, studi e monografie d’arte. Aveva anche dipinto, naturalmente, e vicende della Prima guerra mondiale lo avevano messo in contatto, nella sua Ferrara, con pittori come Carrà, De Chirico, Tosi. Precocissimo, instancabile, la scelta della pittura non era stata immediata, anche per l’ostilità del padre, e una volta fatta, non escluderà mai la passione per lo scrivere. Ma Luigi Filippo Tibertelli De Pisis non poteva certo accontentarsi di insegnare nelle scuole medie (aveva seguito lettere a Bologna.
Comincia cos la sua vera vite, quella dell’artista, da Parigi a Venezia, da Roma a Milano. Alfredo Panzini lo ricordava così in un suo scritto: “Un giorno lontano, quegli che è oggi il pittore DE Pisis, parlandomi con quel suo speciale accento fra l’aristocratico e il sarcastico (andavamo pedalando in bicicletta lungo la via del mare) mi disse in tutta riposatezza, ridente: ‘Professore! Io diventerò un uomo celebre. Non ci crede? Vedrà, vedrà!’.
Filippo De Pisis era allora un ragazzo sul fin del liceo o sul principio dell’università. Le sue maniere erano squisitissime, come le mani che faceva gesticolare quali insegne di nobiltà; ma il suo modo di ridere era irriverente, per certi suoi improvvisi scoppiettii, e stridule voci. Un giorno venne da noi scusandosi per il ritardo per il gran dono che ci portava. Era un mazzo di fiori di campo da lui raccolti lungo la via. Li accarezzava, ce ne magnificava le tinte, le sfumature: ne conosceva tutti i nomi come un botanico”.
Panzini ricorda che si videro spesso, e poi, a Roma. “Abitava una casa antica, nella Roma antica; portava cravatte inverosimili; frequentava i tè, l’aristocrazia”.
Un giorno il professore ricevette dal pittore una scatoletta: “dentro una cravattina rosso scarlatta col nodo fatto”. Ricorda ancora, Panzini, uno strano consiglio di De Pisis: “Nei momenti di necessità, faccio uso di castagne secche; permettono di mangiare per molto tempo, quanto può durare un pranzo cinquecentesco”.
Sfondare non è facile, ma presto si accorgono di lui, della sua arte che si può collegar e al movimento novecentista, che si può richiamare al post-impressionismo, ma che, come tutti i grandi, è prima di tutto originalmente sua. Carlo Munari, in un saggio, così ne scrive: “Con De Pisis all’arte italiana viene proposta la miracolosa facoltà di conchiudere nel volgere rapidissimo di una ‘scrittura’ stenografica il senso poetico di un paesaggio, di una figura, di un interno, colti all’improvviso e fissati nella retina un istante appena ma sufficiente per essere eternati.
da Smoking 1983 di Giulio Alessandri. Segue