(…) I Negritos dell’isola di Luzon (Filippine) fumano il sigaro tenendo in bocca la parte accesa. Gli Ottentotti barattano le loro mogli per tabacco e quando non possono ottenerlo riempiono le loro pipe con un surrogato, consistente in escrementi secchi di elefante o rinoceronte. Nelle regioni nevose dell’Himalaya i montanari scavano nel ghiaccio una piccola galleria: a un’estremità tabacco acceso con brace, all’altra il fumatore sdraiato. In Patagonia usa accendere una pipa, gettarsi giù con la faccia a terra e aspirare parecchie boccate di fumo in modo che si produca una certa intossicazione o ebbrezza che dura parecchi minuti.
Gli abitanti della penisola di Cook (Australia) si passano l’un l’altro una pipa di bambù. Il naso dei Moschanas, tribù africana in estinzione, è spesso sfigurato dalle eccessive dosi di tabacco da fiuto; a volte devono intervenire con qualche aggeggio di ferro o d’avorio per svuotare le narici troppo piene. I Wadschidschi, che stanno sulle rive del lago Tanganyka, non masticano, non fiutano, non fumano: mettono il tabacco in un recipiente, lo bagnano, poi lo schiacciano per farne uscire un succo che mettono nelle narici, tenendocelo con “tappi” di legno. I Kaffirs, che non possono ottenere polvere da fiuto fine e pungente come la desiderano, macinano quella pronta tra due pietre e poi la mescolano con una specie di pepe e un po’ di cenere. I neri del Dschesire mescolano il tabacco con acqua e natron (carbonato di sodio), così da formare una specie di pappa che chiamano “bucka”: se ne riempiono la bocca e la fanno rotolare a lungo con la lingua (ci sono regolari Bucka-parties). In Paraguay sono principalmente le donne che masticano tabacco; e i viaggiatori hanno spesso descritto il loro sconcerto di fronte a signore ben abbigliate e ingioiellate che accolgono il visitatore con un bacio dopo aver tolto con tutta naturalezza la cicca dalla bocca. E’ stato calcolato che in Virginia, Carolina, Georgia e Alabama ci sono almeno centomila tobacco-dippers, così sono chiamati, che consumano il tabacco in questo modo. Prendono un bastoncino, lo bagnano, lo tuffano nel tabacco in polvere e poi lo sfregano nelle fessure fra i denti, lasciando che la scura polvere rimanga fino a che non ha perduto il suo gusto piccante. Altri tengono lo stecchino ricoperto di tabacco in bocca e lo succhiano.
Alcune tribù del Sudamerica realmente mangiano il tabacco tagliato in piccoli pezzi.
Infine, c’è quel che si dice di certe tribù di Eschimesi. Quando arriva uno straniero si trova circondato da nativi che chiedono di bere il liquido che resta nel cannello della sua pipa…
Rientra decisamente in questa linea la storia raccontata dal Commodoro Wilkes nel suo “Resoconto sula spedizione esplorativa negli Stati Uniti”. Un nativo delle isole Fiji raccontò al Commodoro che un veliero era naufragato nella zona e che l’intero equipaggio era caduto nelle mani dei cannibali. Dialogo:
“Che avete fatto di loro?”
“Li abbiamo uccisi tutti”
“E dopo?”
“Li abbiamo mangiati”
“Li avete mangiati tutti?”
“Sì, tranne uno”
“E perché ne avete risparmiato uno?”
“Perché sapeva troppo di tabacco, non si poteva proprio mangiarlo”
(Parte di un articolo di Paolo Guidi da Smoking 1986 a titolo IL SANGUE FREDDO DEL FUMATORE MAZZINI, in cui si l’autore estrapola “aneddoti, curiosità e pettegolezzi sul tabacco nell’800” da un volume TOBACCO TALK AND GOSSIP FOR SMOKERS, George Redway, London, 1897)