Dall'estrazione del ciocco alla selezione degli abbozzi stagionati


DALL'ESTRAZIONE DEL CIOCCO ALLA SELEZIONE DEGLI ABBOZZI STAGIONATI

L'estrazione del ciocco dal terreno è un’operazione molto delicata e viene eseguita da esperti raccoglitori detti “cioccaioli”. Utilizzando piccole zappe, scavano con estrema cura per non danneggiare il ciocco. Una volta estratto, lo liberano dalle appendici vegetali e dalle parti cattive: con l’accettino asportano sassi, terra, tarli, le parti secche e quelle marce. Dopo aver pulito il ciocco lo annaffiano abbondantemente con acqua affinché non si screpoli, e lo ricoprono di terra umida o di frasche per proteggerlo dall'aria e dal sole che seccano e spaccano il legno. Così facendo si aiuta il ciocco a morire lentamente, permettendogli di restare verde e fresco in attesa del trasporto.

I ciocchi raccolti vengono portati in segheria dai raccoglitori, che vengono pagati in base al peso e alla qualità del raccolto. Attualmente il prezzo della radica è molto alto, poiché è difficile trovare manodopera disposta a sopportare un lavoro così duro e saltuario.

In segheria i ciocchi vengono tagliati per ricavare gli abbozzi, pezzi di legno di forme e dimensioni varie, da cui si “sbozzerà” la pipa. Gli abbozzi migliori si ottengono dalla groppa del ciocco, perché è la parte più sana, che offre la grana migliore, fine e dura, al contrario del cuore del ciocco che porta spesso il segno di un trauma, sassi e difetti.

I tagliatori devono ottenere dal ciocco il maggior numero possibile di abbozzi, cercando che ogni abbozzo sia il più grande e il migliore. E’ un'operazione difficile: sul momento bisogna riconoscere forma, qualità, direzione delle fibre, linee ideali di taglio, parti da scartare. L’ostilità del terreno e del clima in cui cresce la radica, se le donano forza e durezza, la riempiono anche di sacche d’aria, terra, sassi, carie, ferite e piccoli residui d’acqua che la fanno imputridire. Saranno poche le pipe perfette. Il tagliatore ha quindi un ruolo fondamentale, perché deve comprendere ed esaltare la bellezza della radica, portando alla luce le fibre, i nodi, le venature, la grana, quel fitto disegno di linee e punti che sarà il motivo della pipa.

Dopo il taglio gli abbozzi vengono divisi a seconda delle dimensioni e quindi gettati in grandi caldaie di rame, dove vengono fatti bollire per dodici ore di seguito. L’acqua bollente scioglie succhi, resine e tannino, impedendo così che il legno abbia un sapore amaro. La bollitura, eliminando la linfa, evita che il legno si spacchi, conferendogli pastosità e omogeneità.

Dopo la bollitura il legno cambia colore. Appena raccolto, il ciocco era bianco-grigiastro, ora gli abbozzi sono rossi, asciugando diventeranno marrone chiaro. Terminato il lavoro, le segherie vendono la radica alle fabbriche. La vendono appena bollita oppure “raffermata”, cioè semistagionata. Le fabbriche più importanti preferiscono stagionarla per conto proprio, nei loro depositi, locali ventilati dove gli abbozzi, suddivisi per qualità e provenienza, riposano per almeno un anno su letti sollevati dal suolo, affinché prendano aria da tutti i lati. Esistono anche essiccatoi che possono ridurre questo periodo di invecchiamento. Le stagionature di dieci o più anni sbandierate dalla pubblicità, sono favole. La radica, per essere lavorata, deve mantenere una certa umidità. Prolungare la stagionatura sarebbe inutile, potrebbe causare un deterioramento della radica stessa. Sarebbe, inoltre, un dispendioso immobilizzo di capitale. Se mai, le teste possono restare in magazzino anche per un anno dopo essere state tornite, ma questo non produce un sensibile miglioramento della qualità.

Insomma, una stagionatura complessiva (tra segheria, magazzino e fabbrica) di due o tre anni è più che sufficiente.

Finito il tempo della stagionatura, gli abbozzi vengono prima divisi per due grandi categorie, “marsigliesi” (fig. A e B) per le pipe dritte, “rilevati” (fig. C) per le curve, poi classificati per dimensione, per il disegno della radica, “fiamma” o “occhio di pernice”, per le imperfezioni che presentano, punti neri, vuoti.
La fiamma, l’insieme di venature dritte, uniformi, che salgono dal fondo della pipa parallele e compatte, è molto rara e preziosa. Ma anche la tessitura a occhio di pernice, miriade di piccoli nodi che tempestano il legno, ha il suo valore. Entrambe sono care perché rare: è proprio la rarità del disegno della radica, la sua bellezza e perfezione, che determina il prezzo della pipa, non la bontà. La pipa più costosa non è detto che sia la migliore, ma sicuramente è la più bella.

Ciò che invece determina la qualità di una pipa è la natura della grana, che deve essere regolare, serrata, omogenea, compatta e resistente. Sono queste le qualità che caratterizzano una buona testa di pipa. Bisogna diffidare dalla radica che presenta larghe superfici non venate, dette vuoti o lisci, o venature anche regolari e belle, ma larghe e distanti: il legno con queste caratteristiche potrebbe rivelarsi poco resistente.


I SEGRETI DELLA RADICA E QUELLI DELLA PIPA

Dopo la stagionatura, la selezione e la classificazione secondo forma e dimensione, l’abbozzo viene ritoccato e calibrato alla sega circolare, poi passa alla tornitura del fornello. È fissato in una “bocca di lupo” che gira a 2800-3200 giri al minuto. “Uno sfarfallio, un lungo truciolo, una specie di sfrigolio e il fornello è scavato. La testa ha già una sua forma grezza”. La disposizione delle lame del tornio, una per l’interno e l’altra per l’esterno del fornello, varia a seconda della forma che si vuol dare alla pipa. La svasatura comporta che il fornello sia centrato, alla giusta profondità, corretta proporzione con lo spessore delle pareti e il peso della pipa.
Questa prima fase della lavorazione rivela i difetti, le insidie nascoste nel legno apparentemente perfetto. Capita di frequente che le lame siano danneggiate da un sasso rimasto nel cuore dell’abbozzo. Molte volte la rivelazione significa scarto. Lo scarto può essere anche del quaranta per cento.

La seconda fase consiste nella tornitura del cannello. Per i cannelli rotondi il lavoro è svolto da una macchina, per quelli ovali la macchina è inutile. Bisogna realizzarli interamente a mano.

La terza fase consiste nell’arrotondamento della base del fornello, asportando le alette rimaste tra fornello e cannello dopo le prime due operazioni di tornitura. Per questo lavoro si usa una fresatrice. Dopo, con una mola, si asportano tutte le sbavature.

Nella fase successiva avviene la selezione delle teste. La radica, come ho detto, può avere dei difetti più o meno vistosi, nodi, tarlature, punti neri. Questo spiega perché i pezzi perfetti siano molto rari e molto costosi. Le teste in cui c’è una fessura da stuccare appartengono ad una categoria inferiore, quelle che presentano una zona di liscio ad una categoria intermedia. Le teste macchiate soltanto da un piccolo punto nero hanno una sorte migliore. Le pipe senza imperfezioni, che sfoggiano una fiamma o un occhio di pernice omogenei, compatti e regolari, vengono esaminate a parte. Si bagna il legno per evidenziarne le venature, lo si osserva alla lente. Saranno loro, probabilmente, i gioielli della collezione.

Nella quinta fase si compie l’unione tra la testa e il bocchino. Deve essere perfetta, sia nella linea sia nell’intersezione. L’accordo tra questi due elementi è determinante per il bilanciamento della pipa. Guardando una pipa per la prima volta, offre la prima impressione di bellezza.

Dopo che la testa ha trovato il suo bocchino ideale, giunge il momento delle rifiniture. Si usano carte abrasive o tele a grana decrescente, con una successione precisa, in modo che un passaggio elimini i segni del precedente. Se per caso si salta un passaggio i segni restano.

Terminate le rifiniture, si sceglie l’aspetto finale della pipa. Quattro i tipi principali: naturale, verniciata, rusticata e sabbiata.

La pipa naturale gode di grande prestigio. Va fiera di una radica rara e preziosa, che non ha bisogno di trucco. Una semplice pulitura, un trattamento leggero con olio o cera carnauba e lo spettacolo comincia, le luci delle vetrine si accendono, lei risplende e conquista... Non tutti se la possono permettere.

La pipa verniciata è colorata con tinture vegetali. Il rosso, il nero, il marrone scuro sono le tinte più comuni. Osservate il legno di queste pipe con molta attenzione, talvolta il belletto nasconde una superficie non venata, un legno “liscio” che significa radica meno compatta, meno resistente.

La rusticata è raramente una pipa di pregio, ma è perfettamente funzionale, buona, leggera. La rugosità si ottiene con piccole frese di vario tipo che rompono e scalfiscono la superficie del legno confondendo i difetti più o meno vistosi e consentendo di utilizzare le teste che altrimenti sarebbero state eliminate. Per questo motivo il prezzo è più contenuto. Chi scrive trova che le rusticate siano pipe calde, sensuali, piacevoli al tatto. Hanno grazia e carattere.

La pipa sabbiata, fino a qualche anno fa, si otteneva con un getto di sabbia che erodeva la parte tenera del legno portando così in rilievo la vena dura. Oggi la sabbia non si usa più, i fabbricanti le preferiscono microsfere metalliche o di materiale sintetico. Il pregio della sabbiata sta nella sua leggerezza e nella facilità di raffreddamento: la rugosità ne moltiplica la superficie esterna. Non è vero che si sabbiano le pipe difettate allo scopo di mascherare con la sabbia cavità che renderebbero il fornello inutilizzabile. Per ottenere una pipa sabbiata c’è bisogno di legno di buona qualità, dotato di venature, di grana compatta, resistente. Un legno cattivo, troppo tenero e liscio, si frantumerebbe per la violenza del getto.

Deciso l’aspetto finale, dopo la pulitura, ecco le operazioni di tinteggiatura e lucidatura. Cera carnauba, anilina e tampone, bastoncini abrasivi, pomiciatura, ecco i protagonisti di questa fase del lavoro.

Finita la pipa, viene decisa la classificazione e il prezzo. A seconda della qualità o dei difetti.

Infine un accenno alle stuccature. Si usano quando un difetto della radica è soltanto estetico e non incide sulla qualità. È un’operazione laboriosa e delicata. S’impastano mastice e polvere di radica, e con questo preparato si otturano microscopici fori al fine di rendere omogenea la superficie. Ricordate che le piccole stuccature esterne non influiscono né sulla qualità della fumata, né sulla durata della pipa, mentre consentono di effettuare l’acquisto ad un prezzo inferiore. Se la stuccatura dovesse staccarsi, non spaventatevi. Se la pipa è di buona radica, ben stagionata, rimarrà sempre una buona pipa e potrà essere facilmente stuccata di nuovo. Invece, se lo stucco nasconde un buco che attraversa la parete del fornello da parte a parte, la faccenda è più grave. I fabbricanti non dovrebbero usare teste con questi difetti, le buttano via. Ma succede che non vedano la magagna e vendano la pipa difettata. Se siete così sfortunati che capita a voi di comprarla, riportatela al negoziante. È costretto a cambiarla.
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